“La situazione del Mediterraneo è terribile, quasi peggio della media degli Oceani, perché è un bacino molto piccolo, rappresenta l’1% della superficie globale dell’Oceano, ma è impattato da un traffico marittimo, visto che dal Mediterraneo passano il 25% del traffico petrolifero e il 30% del traffico commerciale. Dal punto di vista del turismo abbiamo una popolazione di 150 milioni sulla fascia costiera che diventano 300 milioni durante la stagione estiva, un pubblico mediamente poco educato e poco consapevole sull’uso della plastica e così tanta finisce in spiaggia nella stagione estiva”. Fabio Trincardi, direttore dipartimento Terra e Ambiente del Cnr, lo dice a margine di ‘Fatti di plastica’, oggi all’Acquario Romano, iniziativa organizzata dal Consiglio nazionale delle ricerche.
“Il vero problema però è che la plastica viene da un’economia sbagliata, non circolare, e quindi viene essenzialmente dai fiumi. L’80% della plastica he troviamo sulle coste e negli oceani è di derivazione continentale”, spiega Trincardi.
“E’ drammaticamente interessante la quantità di plastica che viene direttamente buttata in mare, una di queste plastiche di cui si parla poco è quella delle reti da pesca- spiega il direttore dipartimento Terra e Ambiente del Cnr- Le reti si incagliano in fondali rocciosi o complicati, oppure vengono semplicemente gettate quando non funzionano più bene e sono fatte in nylon, pvc eccetera. Quando rimangono incastrate sul fondale continuano a pescare ma lo fanno senza scopo economico e creando un danno all’ambiente. Quelle che flottano in superficie uccidono quasi un milione di uccelli ogni anno in tutto il mondo, quelle che flottano in acqua uccidono 10mila mammiferi, tra delfini, foche eccetera, sempre ogni anno. Però, oltre a questo, il 10% del pesce che potremmo mangiare o vendere per fare economia viene ucciso per nulla”.
Il problema non è solo la plastica sulle coste e quella in superficie, “ma anche quella in colonna d’acqua e sul fondale marino- prosegue Fabio Trincardi, direttore dipartimento Terra e Ambiente del Cnr- Sul fondale pezzi di plastica diventano addirittura substrato per coralli o simili, con una relazione con la biologia che cerca di adattarsi alle novità. Poi la plastica si frantuma, soprattutto quando è in spiaggia esposta al sole, per un processo fotochimico, poi c’è un processo meccanico, quello delle della rottura da parte delle onde. Il risultato è la formazione della microplastica che viene mangiata, entra nel ciclo alimentare e da ultimo ariva all’uomo, e noi stiamo mangiando crescenti quantità di plastica, così come beviamo crescenti quantità di plastica che si stacca dalle bottigliette che abbiamo in mano tutti i giorni”.
C’è poi “il paradosso delle spiagge libere- prosegue Trincardi- I posti più belli, più incontaminati, dove ci piace andare, spesso sono quelli dove si accumula tantissima plastica e nessuno la va a togliere. Nella spiaggia attrezzata è il bagnino stesso ad avere l’interesse a togliere la plastica a fine giornata per il proprio pubblico. Nel posto bello, invece, quella che per noi era la classica spiaggia dell’isola incontaminata, oggi diventa un punto dove la plastica può accumularsi, fare le proprie reazioni con il sole e tornare con le mareggiate invernali in acqua come microplastica”.
“Ci sono poi le fiumare calabre, dei fiumi con un corso molto breve, privi di acqua per quasi tutto l’anno che però si riempiono d’acqua torrenzialmente in occasione di grandi temporali- aggiunge Fabio Trincardi, direttore dipartimento Terra e Ambiente del Cnr- Siccome nei greti di queste fiumare si butta di tutto, quando arriva la piena è talmente vigorosa che prende tutto e lo porta fino a 500 o anche mille metri di profondità nel Tirreno, nello Ionio o dello Stretto di Sicilia. Quindi c’è anche un tema di legalità, perché se uno può creare discariche a cielo aperto nel greto di una fiumara il minimo che può succedere è che i rifiuti finiscano in mare”.
Notizia tratta dal sito www.dire.it