Tenere pulita casa propria costa, e lo stesso vale per una città: a maggior ragione se le operazioni di “pulizia” si fanno via via più articolate. Lo studio annuale sulla raccolta differenziata italiana sviluppato da Utilitalia (la Federazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’energia elettrica e del gas) in collaborazione con Bain & Company Italy dà un’immagine precisa di questi costi: da un lato la raccolta differenziata per la prima volta in Italia ha superato (nel 2016) il 50% del totale della produzione rifiuti, con un incremento di quasi 4 milioni di tonnellate negli ultimi 5 anni. Dall’altro lato, a fronte di questo incremento i costi operativi diretti della raccolta sono passati da 2,6 miliardi di euro del 2007 a 3,4 miliardi di euro nel 2016, per un valore medio unitario per singola tonnellata che oggi ammonta a 126 euro a tonnellata. E se il sistema di raccolta stradale rappresenta ancora il 62% dei volumi, la modalità porta a porta è ormai al 38%, con un aumento del 12% dal 2007 ad oggi.
Com’è collegato questo andamento con quello dei costi? L’aumento della raccolta differenziata porta a porta «è particolarmente rilevante – ricapitolano da Utilitalia – per comprendere le dinamiche di evoluzione dei costi. Questo sistema di raccolta infatti si conferma molto più oneroso rispetto a quello stradale: il porta-a-porta si attesta a 190 euro a tonnellata contro i 74 euro a tonnellata dello stradale (ovvero la raccolta differenziata da campane e cassonetti filo strada, ndr). Il costo medio della raccolta differenziata è di 126 euro per tonnellata. Si tratta di un valore che cambia molto a seconda delle diverse categorie merceologiche: si passa dai 321 euro della plastica (qui è disponibile l’approfondimento condotto l’anno scorso su questa frazione merceologica, ndr) ai 191 della carta, dai 148 della frazione organica ai 90 del rifiuto residuo». Non è una sorpresa: il porta a porta abbisogna di maggiori mezzi e di un più ampio numero di lavoratori (creando dunque occupazione), che naturalmente vanno pagati. A sorprendere sono piuttosto le promesse di molti amministratori pubblici, che promettono al contempo elevate percentuali di raccolta differenziata, magari da raggiungersi col 100% di raccolta porta a porta, e Tari in calo per tutti.
Secondo quanto riporta l’analisi, in ogni caso «l’incremento dei costi è stato mantenuto a livelli inferiori rispetto ad una loro evoluzione inerziale, con un efficientamento complessivo a livello di sistema superiore ai 400 milioni di euro all’anno». Sono gli obiettivi ambientali che si fanno – giustamente – di anno in anno più sfidanti: il nuovo pacchetto normativo Ue sull’economia circolare che entrerà in vigore dal 4 luglio impone ad esempio che entro il 31 dicembre 2025 almeno il 65% in peso dei rifiuti da imballaggio debba essere riciclato (riciclato e non differenziato, il primo è il fine mentre la raccolta differenziata porta a porta o meno è un mezzo per raggiungerlo). Uno sforzo comune che non fa bene “solo” all’ambiente ma anche alla nostra economia: come ricorda oggi infatti Paola Ficco sul Sole 24 Ore, grazie all’applicazione dell’intero pacchetto normativo, secondo «la Commissione europea nel 2025 il risparmio di materie prime per l’industria europea potrebbe essere di circa 400 miliardi di euro (il 14% a parità di produzione) e 12 miliardi di euro per l’Italia».
Per raggiungere questi guadagni la collettività deve però sopportare alcuni costi, come nel caso della Tari con cui si finanziano i servizi di igiene urbana. E il rapporto Utilitalia ne dà ampio conto: il campione nello studio è pari a oltre 180 Comuni, rappresentativi del 29% del totale dei rifiuti urbani prodotti, con una copertura geografica che va da nord a sud del Paese.
Proprio partendo da questo ampio spettro di dati, il rapporto evidenzia anche una significativa variabilità dei costi sul territorio, con differenze «che possono arrivare anche al 300% a seconda della diversità del contesto – per esempio raccolte più onerose nei grandi centri urbani rispetto ai piccoli Comuni – e del tipo di modelli organizzativi. Guardando alle filiere del trattamento, invece, emerge che solo il 30% del totale dei flussi sono avviati, come prima destinazione, in impianti di proprietà delle stesse aziende che effettuano la raccolta, con un 70% destinato in impianti di terzi».
Perché lo scopo della raccolta differenziata – che sia stradale o porta a porta – è sempre e solo uno: provare a raccogliere i rifiuti che produciamo in categorie omogenee, di qualità sufficientemente elevata per poi avviarle in primis a riciclo. E se non esiste un metodo di raccolta in assoluto migliore rispetto a un altro, dipendendo fortemente dal contesto del territorio locale, è sempre vero che non ha senso fare la raccolta differenziata senza poi re-immettere sul mercato come materie prime seconde i rifiuti raccolti a fronte di costi elevati. Il che significa anche, naturalmente, dotarsi degli impianti industriali (di selezione, di riciclo, di recupero energetico e di smaltimento finale) per gestire questi flussi.
«C’è un crescente impegno delle imprese per il miglioramento qualitativo e quantitativo della raccolta differenziata, per la sostenibilità ambientale – commenta al proposito Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia – per la piena attuazione dei principi dell’economia circolare e per la riduzione delle frazioni non utilmente riciclabili. I risultati sono importanti soprattutto proprio nell’ottica del Pacchetto dell’economa circolare che indica target ambiziosi da raggiungere non soltanto con una buona raccolta differenziata ma anche grazie a un adeguato sistema di impianti per il riciclo e recupero. È per questo che continua a preoccupare l’insufficiente dotazione di impianti in alcune aree del Paese, in particolare per la frazione organica».
Notizia tratta dal sito www.greenreport.it