Si chiama “infermiere di famiglia e di comunità” la nuova figura professionale che fa il suo ingresso nella sanità toscana.
Un infermiere che esce dall’ospedale e segue il paziente al suo domicilio, in famiglia, nella sua vita quotidiana, in stretta collaborazione con tutti gli altri professionisti impegnati nel percorso assistenziale. Con l’obiettivo di intercettare e addirittura prevenire i suoi bisogni di salute, evitare ricoveri inutili, favorire la deospedalizzazione, presidiare l’efficacia dei piani terapeutico-assistenziali, supportare la famiglia e in sostanza migliorare la qualità di vita della persona nel suo contesto di vita.
La delibera che prevede la fase pilota dell’avvio di questo nuovo modello è stata approvata dalla giunta nel corso di una delle ultime sedute.
“L’invecchiamento della popolazione e il conseguente incremento delle malattie croniche, e quindi la necessità di aiutare le persone a vivere nel proprio domicilio il più possibile, garantendo un aiuto nella vita di tutti i giorni – ha detto Stefania Saccardi – è un obiettivo fondamentale del modello di cure primarie promosso dalla Regione Toscana.”
Infermiere di famiglia e di comunità: chi è e cosa fa
Il modello assistenziale “Infermiere di famiglia e di comunità” rappresenta sul territorio l’evoluzione di funzioni professionali già svolte per la salute della collettività che il mutamento dei bisogni socio-sanitari dei cittadini rende necessaria per la qualità delle cure. Il modello è basato su alcuni concetti portanti, tra cui quello della prossimità con la persona, la famiglia e il suo contesto di riferimento sociale: ogni infermiere di famiglia e di comunità opera nel territorio e nella popolazione di riferimento, identificabile di norma nell’ambito delle AFT (Aggregazioni funzionali territoriali) della medicina generale, interagendo con i medici e i pediatri di famiglia e tutte le altre figure professionali coinvolgibili nella presa in carico.
L’infermiere di famiglia e di comunità, in coerenza con il Piano Nazionale Cronicità, cura il monitoraggio dello stato di salute degli assistiti, mediante visite domiciliari, follow up telefonici, telemedicina, in modo da evitare che sia la persona a rivolgersi ai servizi solo quando sono già presenti disturbi o complicazioni; presidia i passaggi di setting assistenziale, con particolare riguardo agli aspetti più critici della continuità delle cure facendosi garante della presa in carico lungo l’intero percorso assistenziale.
L’infermiere di famiglia e di comunità, come risorsa di salute, interviene fornendo consigli sugli stili di vita e sui fattori comportamentali a rischio, intercetta e riconosce in modo precoce i bisogni latenti della popolazione di riferimento, avvalendosi delle risorse della comunità, conosce la rete dei servizi presenti in quello specifico territorio ed è quindi in grado di orientare e facilitare l’accesso appropriato e tempestivo dell’utente a tutti i servizi della rete.
In caso di situazioni complesse, si avvarrà delle consulenze e delle attività infermieristiche ospedaliere o territoriali, a seconda del tipo di bisogno o di percorso di continuità (ad esempio per la gestione delle ferite difficili, le stomie nei pazienti operati o in nutrizione artificiale, la ventilazione ecc..).
Un nuovo modello organizzativo
Questo nuovo approccio spinge l’organizzazione al superamento dell’attuale sistema delle competenze organizzato per “silos”, cioè aree assistenziali limitate alla componente specialistica del singolo bisogno (cure palliative, sanità di iniziativa, cure domiciliari integrate e prestazionali), che ha prodotto la frammentazione dei servizi territoriali e la discontinuità delle cure, verso un modello orientato all’unitarietà dell’approccio e centrato sulla persona e sulla globalità dei suoi bisogni.
Tempi e modi di attuazione
La delibera prevede un percorso formativo organizzato nella prima fase a livello regionale, rivolto alla formazione degli infermieri delle zone distretto nelle quali avrà avvio lo sviluppo operativo del modello. La fase pilota di avvio, di durata annuale, sarà condotta in almeno 2 zone per ciascuna azienda sanitaria della Toscana, individuate a livello aziendale.