Con un buon ritardo rispetto ai principali competitor di mercato – compresa la Volkswagen investita in pieno dallo scandalo Dieselgate – anche Fiat Chrysler sembra aver intuito che la produzione dei mezzi più inquinanti è una scelta destinata a non pagare; per questo la casa automobilistica di (ex) bandiera fermerà la produzione di veicoli non commerciali a motorizzazione diesel entro il 2022. È questa l’indiscrezione filtrata dalle pagine del prestigioso quotidiano economico Financial Times, poi rimbalzata sui media nostrani, che sarà confermata o smentita entro l’estate in occasione della pubblicazione del piano industriale Fca – l’ultimo a firma Marchionne.
Il progressivo addio al diesel, da parte di Fca e non solo, lascia presagire ricadute importanti per la salute dell’ambiente e quella umana in un contesto come quello europeo, dove ad oggi circolano circa 100 milioni di mezzi diesel, ai quali vengono imputate circa 10mila morti premature l’anno (solo per le emissioni di NOX), con l’Italia purtroppo in testa alle classifiche nazionali. È il traffico veicolare, oltre alla climatizzazione degli edifici, la prima causa dell’inquinamento atmosferico nel nostro Paese, e migliorare il quadro emissivo rimane una priorità da inseguire con forza. Ma l’Italia come si affaccia in questa fase di profondi cambiamenti? Non benissimo.
Come informano da Elettricità futura, le auto nuove vendute nel 2017 in Italia sono state 1.970.497, (+7,9% sull’anno precedente), e il diesel è cresciuto del 6,2%, più dei veicoli a benzina (+4,8%). Nonostante ciò – documentano dall’Anfia, l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica – l’Italia si conferma il Paese europeo con il più alto numero di vetture “ad alimentazione alternativa” grazie al significativo contributo apportato dai veicoli a gas (con il Gpl in crescita del 26,5% nel solo 2017). Peccato però che il giudizio si ribalti completamente quando si osserva il mercato delle auto elettriche.
Sebbene le immatricolazioni di auto elettriche in Italia siano praticamente raddoppiate dal 2016 al 2017, sono ancora ferme a 4.827 vetture, ovvero appena lo 0,2% del mercato totale registrato in Italia nel 2017. Appena 1 auto su 408 in Italia è elettrica, una performance che ci vede surclassati da Paesi come la Svezia (dove è elettrica 1 auto ogni 19) ma anche da Belgio e Paesi Bassi (1 ogni 38).
Risalire la china naturalmente non sarà facile, ma la buona notizia è che c’è davvero molto spazio per migliorare. Un buon modo per iniziare sarebbe iniziare a spendere i 50 milioni di euro già stanziati per favorire la crescita della mobilità elettrica installando centraline di ricarica, un’infrastruttura propedeutica quanto indispensabile. Nonostante i fondi siano ufficialmente disponibili da anni, dal governo non risulta sia ancora stato pubblicato il decreto necessario per spenderli, bloccando l’intero processo.
Anche in questo business, come per tutti gli altri, certezza del diritto e semplificazione normativa risultano componenti essenziali per lo sviluppo del mercato, componenti cui andranno certamente affiancati anche elementi d’innovazione industriale, a partire dal settore delle batterie elettriche. Non è infatti importante “solo” aumentare il numero dei veicoli puliti in circolazione, ma far sì che il cambiamento possa portare – o mantenere – occupazione di qualità per il territorio nazionale: ma dov’è, oggi, la filiera nazionale delle auto elettriche?
Dal 2008 i progetti finanziati dall’Unione europea lungo tutta la catena del valore delle batterie hanno mobilitato complessivamente 555 milioni di euro (considerando anche gli investimenti privati), ma ancora non basta. E anche Fca dovrà essere chiamata a metterci del suo.
Notizia tratta dal sito www.greenreport.it