Il secondo Electricity Market Report, presentato oggi dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano prova a fare chiarezza sulla situazione reale delle sperimentazioni legate alle nuove configurazioni fisiche e virtuali che potranno operare sul mercato elettrico italiano è stato realizzato e racconta di «Energy communities, distretti commerciali e industriali dove prosumer e consumer si scambiano energia, aggregatori virtuali e sistemi di storage elettrico diffuso… Se ne parla, è vero, ma niente di tutto questo ancora in Italia è reale: si sono avviate nel 2018 le prime sperimentazioni con risultati incoraggianti, approvate e sotto il controllo di ARERA (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, ndr) ma la strada è ancora lunga e tortuosa».
Al Politecnico spiegano che si tratta di «Un Report complesso, perché si scontra con l’incertezza delle fonti e con la difficoltà di giungere a una visione condivisa dei risultati, e che tuttavia ha il pregio di mettere in luce come la questione normativa non sia l’unica da risolvere: la tecnologia infatti, che pure è pronta, è ancora troppo costosa e la prospettiva di operare sul mercato dei servizi da sola non è sufficiente a rendere convenienti gli investimenti. E questo è ancora più vero quando dalle configurazioni “virtuali” si passa a quelle “fisiche”, dove occorre replicare le infrastrutture».
Vittorio Chiesa, direttore dell’Energy&Strategy Group, sottolinea che «In nessuno dei casi studiati lo sviluppo della tecnologia ha rappresentato un freno. Di contro invece tutti i casi sono bloccati dalla normativa vigente, che non permette la creazione di energy community, aggregazioni di unità di consumo e produzione diverse da quella one-to-one (un’unità di consumo e una di produzione per autoapprovvigionamento). In più, la metà ha anche una forte barriera economica, trainata principalmente dagli alti costi degli impianti fotovoltaici di piccola taglia e dei sistemi di accumulo. Il mercato elettrico è un sistema particolarmente articolato, sia per l’estrema diffusione e varietà ingegneristica delle infrastrutture, sia per la presenza di un sistema regolatorio molto delicato, giacché deve mantenere gli equilibri tra fonti e impieghi di un bene prezioso come l’energia. Ciononostante è un sistema in continua evoluzione, dove sia le configurazioni fisiche sia quelle virtuali di aggregazione di infrastrutture hanno subito e subiranno profondi cambiamenti. Questo Report vuole appunto comprendere meglio come funzionano e che ritorni economici potenziali abbiano queste nuove configurazioni».
Ecco la sintesi dell’ Electricity Market Report 2018:
Le configurazioni “virtuali” del mercato elettrico in Italia e i progetti pilota in corso
Il nuovo paradigma del mercato elettrico si lega al crescente utilizzo della generazione distribuita, in termini sia di capacità di offerta al mercato sia di flessibilità che gli operatori della rete possono utilizzare per il suo continuo bilanciamento. Nuovi concetti, come la “flessibilità” o lo “active demand response”, e nuovi player del mercato elettrico come gli “aggregatori” o “balancing service provider (BSP)” emergono da protagonisti nei più recenti modelli di business verso cui sta migrando la frontiera competitiva.
Recentemente anche l’Italia, mediante l’introduzione della delibera 300/2017 da parte dell’ARERA, ha avviato con Terna una serie di progetti pilota per permettere alla generazione distribuita di partecipare al mercato dei servizi di dispacciamento (MSD). Sono state quindi introdotte le Unità Virtuali Abilitate (UVA) e la nuova figura nodale dell’aggregatore, in qualità di abilitatore della partecipazione delle unità non rilevanti al Mercato dei Servizi di Dispacciamento (MSD).
Il Mercato dei Servizi di Dispacciamento è sede di negoziazione delle offerte di vendita e di acquisto di servizi di dispacciamento, utilizzata da Terna per le risoluzioni delle congestioni intrazonali, per l’approvvigionamento della riserva e per il bilanciamento in tempo reale tra immissioni e prelievi; vi possono partecipare solo le unità abilitate. Gli aggregatori, ossia i fornitori di servizi che su richiesta accorpano una pluralità di unità di consumo o di produzione e consumo per venderli o metterli all’asta in mercati organizzati dell’energia, possono permettere ai clienti finali di modulare i propri carichi elettrici e in questo modo di partecipare al mercato di dispacciamento, movimentando volumi sufficienti per accedere al MSD.
Sono quattro le possibili configurazioni “virtuali” nel nostro mercato elettrico. Le UVAC sono caratterizzate dalla presenza di sole unità di consumo (UC), cioè impianti per il consumo di energia elettrica connessi a una rete pubblica tali che il prelievo complessivo di energia sia utilizzato per un singolo impiego o finalità produttiva.
Il progetto pilota per questo tipo di aggregatore è stato approvato con delibera 372/2017. Fino a settembre 2018 sono stati abilitati 516 MW di UVAC e di questi, solo nel periodo giugno-settembre, sono stati contrattualizzati a termine 288 MW. Da giugno 2017 ad aprile 2018 sono stati movimentati circa 700 MWh, di cui i ¾ correttamente forniti, in termini di riduzione di consumo o di immissione da parte degli impianti misti. Analizzando i risultati delle UVAC e considerando il parere degli operatori di mercato si può affermare che il progetto pilota abbia avuto un inizio graduale, con percentuale di assegnazione che nel periodo 19 giugno 2017 – 30 settembre 2017 si aggirava intorno all’1%, mentre nello stesso periodo dell’anno successivo (18 giugno 2018 – 30 settembre 2018) ha raggiunto il 35,8%. Nella media comunque la capacità assegnata per UVAC è piuttosto ridotta ed è inferiore al 10% della capacità disponibile.
Considerando gli operatori che hanno effettivamente partecipato alle UVAC e che hanno avuto almeno 1 MW di capacità assegnata vediamo una predominanza di Utility e Trader, a discapito di altri operatori del mercato quali le imprese, il che non stupisce perché le imprese vedono ancora il progetto pilota come un argomento “enigmatico” e di difficile comprensione.
Le UVAP sono caratterizzate dalla presenza di sole unità di produzione (UP) non rilevanti (cioè con potenza complessiva dei gruppi di generazione associati inferiore a 10 MVA), inclusi i sistemi di accumulo. Il progetto pilota per questa tipologia di aggregatore è stato approvato con delibera 583/2017: è ufficialmente iniziato a novembre 2017 e ad oggi si hanno circa 100 MW già abilitati. Si è avuta una quantità più limitata di unità abilitate perché si è optato per non mettere in campo la contrattualizzazione a termine e offrire una sorta di «push» iniziale.
Anche in questo caso sono stati movimentati circa 700 MWh nel periodo novembre 2017 – aprile 2018, con un’affidabilità di oltre il 75%. Fotovoltaico ed eolico non sono risultati tra i partecipanti alle UVAP perché in genere non conveniente.
Le UVAM sono caratterizzate dalla presenza sia di unità di produzione non rilevanti, inclusi i sistemi di accumulo, “stand alone” o abbinati a UP non rilevanti e/o a unità di consumo, sia di unità di consumo, incluse quelle che prestano il servizio di interrompibilità. È consentita anche l’aggregazione di POD che sottendono UP rilevanti, purché tali UP condividano il punto di connessione alla rete con almeno un’unità di consumo diversa dai servizi ausiliari d’impianto.
Il progetto pilota per questa tipologia di aggregatore è stato approvato con Delibera 422/2018 e si presuppone che possa effettivamente essere operativo tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019. Con l’abilitazione delle UVAM, UVAC e UVAP moriranno come progetti e andranno a confluire nelle UVAM stesse, come sotto-casi. Per le UVAN non vi sono progetti in corso.
Uno sguardo più ampio: i progetti di sviluppo a livello globale
Ma non solo in Italia, anche a livello globale la diffusione di queste configurazioni è da considerarsi ancora a livello embrionale: sono appena 197 nel mondo quelli che, seppur con caratteristiche leggermente diverse da quelli italiani, possono essere classificati come progetti di configurazioni elettriche fisiche, in particolare micro-reti, e “virtuali”. Più della metà sono in America (50,8%), seguono Asia (23,4%), Africa (10,7%), Europa (7,6%), Australia (6,6%) e Antartide (1%).
Sono già attivi 146 progetti (74%), mentre il restante 26% si suddivide tra la fase iniziale di progettazione (23%) e quella di costruzione (3%). Due terzi sono riconducibili alle configurazioni fisiche, ma ben 47, già operativi, sono configurazioni virtuali e rappresentano il 24% del campione. Il 61% è alimentato sia da energie rinnovabili sia da fonti tradizionali, mentre il 34% alimenta la rete solamente con energie rinnovabili. I pannelli fotovoltaici sono la tecnologia maggiormente utilizzata (63%), seguita da eolico (31%), idroelettrico (5%) e biomassa (1%). Il 56%, inoltre, a supporto degli impianti ha installato anche sistemi di accumulo.
Il modello Energy&Strategy di valutazione economica delle configurazioni elettriche in Italia
Una delle ragioni per cui i modelli di configurazione elettrica soprattutto virtuali non sono ancora diffusi è indubbiamente da ricercare nella sostenibilità economica. Con l’obiettivo di investigare più nel dettaglio questo tema si è costruito – con assunzioni basate sulle informazioni raccolte ed elaborate da Energy&Strategy – un modello teorico di valutazione della convenienza economica per l’utente energetico (opportunamente aggregato in community) e per l’eventuale “gestore” (virtuale o reale, esistente o costituito ad hoc) della community stessa.
Il modello teorico di valutazione è poi stato applicato a una serie di casi di studio rappresentativi delle possibili configurazioni utilizzabili nei comparti residenziale, commerciale e industriale. L’analisi è dettagliatamente esposta nel Report.
Soltanto in due casi – centro commerciale e distretto industriale – risulta conveniente la creazione di una community virtuale: in entrambi gliambiti, infatti, gli utenti riescono ad avere una buona profittabilità sia se si affidano al gestore esistente sia se ne individuano uno ad hoc che effettui le offerte sul Mercato dei Servizi di Dispacciamento e versi loro una percentuale dei ricavi.
Nel caso di condomini e distretti residenziali gli utenti vedono un business profittevole solamente nel momento in cui creano una energy community e non partecipano al MSD. Se decidessero infatti di affidarsi a un gestore che partecipa al mercato, questi non riuscirebbe a guadagnare abbastanza dalla transazione di elettricità per ripagare gli utenti della community. Inoltre, la configurazione fisica, per gli alti costi di rifacimento della rete elettrica, non permette a nessun soggetto (condominio, distretto residenziale e industriale, centro commerciale) di avere ritorni economici interessanti.
L’evoluzione tecnologica: i sistemi di storage al servizio delle configurazioni elettriche
Per i casi di studio che prevedono la partecipazione al MSD è stata considerata l’installazione di un sistema di accumulo, necessario per garantire la disponibilità di un margine di riserva.
L’analisi sulla composizione e l’andamento dei costi della tecnologia riprende due applicazioni decisamente differenti: un sistema di accumulo di piccola taglia in un condominio (10 kWh, con batterie al litio o al piombo-acido) confrontato con uno storage di taglia notevolmente maggiore (1.500 kWh, per il quale la scelta può ricadere su batterie al litio, al piombo-acido, al sale e al vanadio) installato in un distretto industriale.
Nel caso di studio “condominio” con storage elettrochimico al litio di taglia 10 kWh la batteria è il componente che sul prodotto finito ha un’incidenza maggiore in termini di costi (63-66%). L’evoluzione tecnologica viene tuttavia in aiuto: alla già prevista caduta di prezzo del 25-30% al 2025 delle batterie al litio, nell’ambito residenziale, si aggiunge infatti un’ulteriore decrescita dell’8%-10%. Inverter e BOS (Balance of System) rappresentano oggi rispettivamente il 14-19% e il 13-15% del costo complessivo della soluzione di storage elettrochimico al litio e mostrano un aggiornamento della caduta di prezzo moderato, nell’ordine del 5-9% e 5-7%.
Anche nel caso di studio “distretto industriale” con storage elettrochimico al litio di taglia 1.500 kWh la batteria rimane il componente che sul prodotto finito ha un’incidenza maggiore in termini di costi (75-85%), ma la tecnologia sta raggiungendo un sempre più elevato grado di maturità anche per taglie di accumulo maggiori, e dunque alla prevista caduta di prezzo delle batterie al litio del 39-44% al 2025 si aggiunge un ulteriore calo del 18%.
All’aumentare della taglia dello storage elettrochimico e della complessità di gestione del sistema, l’”aggregatore” deve servirsi di un più complesso sistema di controllo. Quello ad oggi utilizzato dai diversi operatori (non solo “aggregatori virtuali”) per controllare, ottimizzare le prestazioni del sistema di accumulo e di generazione, costituito da diversi strumenti informatici, è l’Energy Management System.
L’Energy Management System di fatto è il “cervello” della batteria, cioè la parte che le permette di interagire in varie modalità con diversi soggetti in base al contesto di utilizzo. Il valore aggiunto sull’intero sistema di immagazzinamento dell’energia, già oggi, si valuta in base al software di gestione che viene montato sulla parte classica della pura batteria. Questi sistemi permettono alla batteria di erogare diverse tipologie di servizi grazie a specifici algoritmi che tengono conto di numerose variabili di contesto, come il prezzo dell’energia, il livello di produzione in loco, la carica della batteria, le previsioni metereologiche e quelle dei carichi elettrici, l’erogazione servizi ancillari, l’aggregazione con altri utenti.
Ad oggi la configurazione più diffusa è l’Energy Management System di “campo”, caratterizzato da un unico software per il controllo e la gestione di diverse batterie localizzate in un solo luogo, ma se si considera l’”aggregatore virtuale” appare evidente come il software di controllo da utilizzare debba invece essere un Energy Management System “da remoto”, dal momento che le utenze con il relativo impianto di produzione e accumulo sono disgiunte le une dalle altre. Siccome però siamo ancora nella fase dei progetti pilota per le configurazioni virtuali, l’EMS “da remoto” mostra una diffusione ridotta.
Anche nel caso in cui le “configurazioni virtuali” si diffondano in Italia ed entrino definitivamente nel Codice di Rete rimane una criticità cui bisogna prestare attenzione: nel momento in cui si vuole creare una community in cui sono già presenti sistemi di accumulo, infatti, le batterie devono essere in grado di interagire fra loro, anche qualora utilizzino tecnologie e software differenti. Questo aspetto può causare elevati costi di aggregazione per uniformare il linguaggio tra EMS.
La fotografia degli operatori presenti sul mercato italiano che offrono soluzioni di storage elettrochimico mostra come gli Integrated Battery Producer dominino il mercato: i principali sono i “batteristi europei”, come per esempio ABB, che producono internamente le batterie e tutti i componenti aggiuntivi offrendo una soluzione “chiavi in mano”. I System Integrator sono rappresentati principalmente da “inverteristi” che hanno interesse ad ampliare le loro offerte, spostandosi così dal mondo delle rinnovabili a quello dello storage, come Fronius, che non è un puro produttore di batterie ma offre soluzioni complete esternalizzando la prima parte della filiera. I Pure Battery Producer, soprattutto produttori cinesi come CATL, sono invece poco attivi.
Sul mercato italiano si trovano difficilmente anche gli operatori che offrono sistemi con anche il software di controllo avanzato (EMS): spiccano in questo campo NEC o Tesla, che possono essere definiti Full System Integrator e stanno iniziando anche in Italia ad offrire soluzioni di storage elettrochimico con la possibilità di controllo “da remoto”. Tra gli assenti in Italia vanno citati anche i Pure Software Provider, conseguenza del fatto che sono ancora pochi gli operatori che hanno fatto il salto verso la massima integrazione dell’offerta di sistemi storage.
Le prospettive delle nuove configurazioni per il mercato elettrico in Italia
Ma quali sono dunque ad oggi i fattori presenti sul mercato che limitano la realizzazione delle energy community? “In nessuno dei casi studiati la tecnologia si è rivelata una barriera – spiega Vittorio Chiesa -: gli impianti fotovoltaici e i sistemi di storage sono asset ormai consolidati e diffusi sul mercato, le offerte ‘a salire’ sul MSD sono limitate all’energia disponibile in sistemi di accumulo e la capacità sempre maggiore di effettuare previsioni sull’effettiva produzione oraria mitiga l’incertezza legata alla produzione da fonti aleatorie e non programmabili. Anche i necessari sistemi di controllo e gestione, sia nelle loro componenti software che hardware, possono ritenersi affidabili e disponibili a costi non proibitivi, ancor più se si ragiona in ottica futura.
“Di contro invece – conclude il Direttore dell’E&S Group – tutti i casi di studio sono bloccati dalla normativa vigente che non permette la creazione di energy community, ossia di aggregazioni di unità di consumo e produzione diverse da quella one-to-one (un’unità di consumo e una di produzione per autoapprovvigionamento). Fanno eccezione solo i progetti pilota che però al momento non rientrano nel Codice di Rete. La metà dei casi di studio, in più, ha anche una forte barriera economica, trainata principalmente dagli alti costi degli impianti fotovoltaici di piccola taglia e dei sistemi di accumulo. La rapida decrescita del costo delle batterie, tuttavia, dovrebbe rendere conveniente l’investimento in futuro”.
La normativa dovrà necessariamente adeguarsi: il settore elettrico mostra infatti di evolversi verso nuovi paradigmi che prevedono una sempre maggiore diffusione dell’autoproduzione da impianti a fonte di energia rinnovabile e che coinvolgeranno tutti gli ambiti considerati (residenziale, commerciale, industriale), anche se alcune delle configurazioni ipotizzate potranno avere una diffusione più rapida grazie ad adeguamenti normativi plausibili. I casi relativi al condominio e al centro commerciale, in particolare, sono quelli per i quali si potrebbe assistere ad un aggiornamento della normativa in tempi brevi. Questi soggetti, infatti, si prestano maggiormente alla creazione di “aggregati” dal momento che le unità di consumo sono circoscritte in un unico edifico e la creazione di una communitypuò essere facilitata dall’omogeneità dei soggetti coinvolti.
Il cambiamento che ci si attende nel quadro regolatorio italiano è trainato dalle proposte europee, contenute nel Clean Energy Package, di favorire la formazione delle cosiddette Local Energy Communities, ossia aggregazioni di unità di consumo e di produzione volte al pieno soddisfacimento dei fabbisogni energetici: ciascun Paese dovrà adeguarsi e sviluppare propri programmi per elaborare le misure necessarie ad affrontare le tematiche relative ad autoconsumo, prosumer ed energy community, nonché adattare gli attuali schemi incentivanti.
Le simulazioni che includono la partecipazione del gestore al MSD presuppongono, inoltre, che sia effettuata l’apertura del mercato alle unità di produzione non rilevanti, come sperimentato nei progetti pilota di Terna. Qualora fosse consentito ai gestori delle community o agli aggregatori di effettuare offerte sul Mercato dei Servizi di Dispacciamento si contribuirebbe con profitto alla gestione in sicurezza del Sistema Elettrico, messa altrimenti a rischio proprio dalla presenza di numerosi impianti di generazione distribuita non programmabili, il cui incremento risulta tuttavia necessario per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi contenuti nella SEN.
Notizia tratta dal sito www.greenreport.it