Mentre il mondo del lavoro è in costante e frenetico mutamento in tutto il mondo, in Europa – con l’Italia in particolare – monta la paura della marginalizzazione. Timori comprensibili. Attualmente l’Unione europea conta appena il 6,9% della popolazione mondiale e, anche se tendiamo a dimenticarlo, in termini di Pil è ancora la prima potenza globale. Il crescente sviluppo delle economie emergenti ha già permesso di sradicare dalla piaga della povertà milioni di persone, ma al contempo globalizzazione e automazione stanno minando redditi e sicurezza nella classe media dei Paesi di più antica industrializzazione (come il nostro). Eppure una possibilità di sviluppo inclusivo c’è.
L’International labour organization (Ilo) delle Nazioni Unite la individua nella green economy, come si dettaglia nel rapporto Prospettive occupazionali e sociali nel mondo 2018: economia verde con occupazione, appena pubblicato: secondo l’Onu «l’azione volta a limitare a 2 gradi Celsius il riscaldamento globale» permetterà la creazione di 24 milioni di posti di lavoro a livello mondiale entro il 2030 rispetto allo scenario business-as-usual, ai quali si potrebbero aggiungere «6 milioni di posti di lavoro attraverso la transizione ad una economia circolare».
I guadagni in questo caso sarebbero per tutti. In primis per il pianeta e dunque per la vita del genere umano, in quanto il modello di sviluppo finora perseguito si è dimostrato inadeguato e insostenibile: tra il 1999 e il 2015 il Pil globale è cresciuto di quasi l’80%, i salari reali del 42%, eppure «nonostante questi progressi la disuguaglianza è aumentata», e con essa anche le emissioni di gas serra (+33% tra il 2000 e il 2012) e l’estrazione di risorse naturali (+62% tra 2000 e 2013).
Ma i vantaggi sarebbero netti anche dal punto di vista occupazionale e nella lotta alle disuguaglianze, restituendo all’Europa intera un ruolo tutt’altro che marginale anche in questo XXI secolo. Attenzione, vantaggi netti non significa anche automatici e indolori: per questo l’Onu nel suo rapporto mette l’accento sulla necessità di strumenti di policy e di dialogo sociale, al fine di raggiungere una giusta transizione verso l’economia verde. «I risultati del nostro rapporto – commenta al proposito Deborah Greenfield, direttrice generale aggiunta dell’Ilo – sottolineano che i posti di lavoro dipendono fortemente da un ambiente salubre e dai servizi correlati. L’economia verde può consentire a milioni di persone di superare la povertà e fornire migliori mezzi di sussistenza anche alle generazioni future. Una tale opportunità è un fattore di stimolo per le scelte complesse che ci troveremo ad affrontare».
“Scelte complesse” significano appunto una transizione da governare. Lottare contro il cambiamento climatico potrebbe generare 24 milioni di lavoro, ma contemporaneamente ne spariranno 6 in settori come l’industria dei combustibili fossili; lo stesso accadrà con l’economia circolare, dove si potranno creare 6 milioni di posti di lavoro, ma in parte saranno (auspicabilmente) occupati da lavoratori non più occupabili – ad esempio – nell’attività estrattiva. Al proposito l’Onu spiega che a livello globale «la maggior parte dei settori dell’economia trarrà vantaggio dalla creazione netta di posti di lavoro: dei 163 settori economici analizzati dal rapporto, solo 14 potrebbero essere soggetti a perdite di occupazione superiori a 10.000 posti di lavoro». Ad esempio, circa «2,5 milioni di posti di lavoro potrebbero crearsi nella produzione di elettricità da fonti rinnovabili, il che compenserebbe i circa 400.000 posti di lavoro persi nella produzione di elettricità da combustibili fossili».
Ma uno sviluppo è davvero sostenibile solo se inclusivo, se capace di ridurre le disuguaglianze economiche e sociali. Per questo l’Onu «invita i Paesi a intraprendere azioni urgenti per formare i lavoratori nelle competenze necessarie alla transizione verso un’economia più verde e ad assicurare la protezione sociale che faciliti la transizione verso i nuovi posti di lavoro».
In questo contesto, l’Europa avrebbe tutto da guadagnarci. A livello regionale e a seguito delle misure adottate nella produzione e nell’uso di energia, l’Onu prevede una creazione netta di circa 3 milioni di posti di lavoro nelle Americhe, 14 milioni nella regione dell’Asia e del Pacifico e 2 milioni in Europa, ma osservare questo cambiamento non in numeri assoluti ma in percentuale (come nei grafici Onu riproposti a lato, ndr) aiuta a mettere in prospettiva il cambiamento: l’Europa emerge come l’unica regione al mondo dove i vantaggi in termini di lavoro arriveranno sia nel settore delle energie pulite, sia in quello dell’agricoltura, sia in quello dell’economia ecologica. Vale la pena di provarci.
Notizia tratta dal sito www.greenreport.it